Finalmente dopo tanto tempo sono riuscita ad andare all’Armani Silos. In realtà questo spazio ha aperto nel 2015, magari molti di voi lo avranno già visto ma se non lo avete ancora fatto, vi consiglio di dedicare qualche ora per vedere lo spazio, l’archivio storico delle collezioni di abiti e le eventuali mostre temporanee.
Io sono capitata quando ancora era aperta al pubblico la mostra della fotografa Sarah Moon, che ho trovato incredibilmente bella, sensuale e coinvolgente, e vorrei quindi fare con voi un piccolo viaggio all’interno di questo spazio, sperando di riuscire a trasmettervi un po’ le mie sensazioni.
Per celebrare i 40 anni di attività, Giorgio Armani ha aperto questo spazio espositivo in zona Tortona a Milano dove sono raccolte, in una selezione ragionata, molte delle sue creazioni, mostrate al visitatore ripercorrendo in senso artistico e cronologico tutta la sua carriera di designer di moda.
La sede è un edificio costruito nel 1950 che originariamente ospitava un deposito della Nestlé, un magazzino per la conservazione dei cereali, da qui il nome Silos. Lo stesso Armani ha voluto progettare e seguire personalmente tutta la ristrutturazione dell’edificio originario di cui ha conservato la struttura ad alveare. Sviluppato su quattro livelli, è organizzato attorno a un grande vuoto centrale sul quale si affacciano gli ambienti espositivi.
Semplicità, geometrie regolari e lineari, toni di grigio, e una assoluta uniformità danno vita a una architettura nella sua totalità poco emozionante, cosa che invece risveglia incredibilmente la parte al pian terreno dedicata alle mostre temporanee. Sarà forse voluto? Sta di fatto che questa sobrietà della struttura architettonica interna, è assolutamente in linea con quello che Armani ci propone anche nel suo concetto di home design: sfumature di grigi caldi, legni scuri, fredde geometrie lineari, spigolosi soprammobili e oggetti di design.
Una volta entrati nella luminosissima hall, tutto si perde in questo spazio geometrico composto da sale che sembrano impilate una sull’altra e totalmente prive di un un progetto espositivo. All’ultimo piano, l’allestimento luminoso non mette per nulla in risalto le sue incredibili creazioni ricche di decori e diventa impossibile, direi fastidioso osservarle anche nei minimi particolari. Questo vale anche per le altre zone dell’esposizione, dove invece la penombra alimentata dai muri grigi, viene interrotta da sciabolate di luce che illuminano ogni singolo abito, talvolta accecando lo spettatore e manipolandone la visione con forzati giochi di luce/ombra e immancabile alterazione dei colori.
Totalmente opposta la parte dedicata alle esposizioni temporanee, un netto distacco che tra “sotto e sopra” che mi ha lasciata un po’ stupita. È ovvio che la visita comincia dal basso, ma la netta differenza che si percepisce salendo le scale mi ha generato diverse contraddittorie sensazioni. Comunque sia ero molto concentrata a guardarmi nel dettaglio tutti gli abiti esposti, che dopo un po’ ho lasciato perdere il “contorno” e l’ho accantonato momentaneamente in una zona remota della parte artistico/visiva del mio cervello. Se vi farà piacere nei prossimi giorni pubblicherò sul mio blog The Ciabatte Pelose un’articolo dedicato alla magnificenza degli abiti di Giorgio Armani, con un dettagliato reportage sui vestiti qui esposti.
Pochi giorno dopo la sua apertura nel 2015, a Milano ha inaugurato anche la nuova sede della Fondazione Prada, progetto di Rem Koolhaas e dello studio OMA, anche questo un recupero di un’area industriale dove però la ricerca di materiali, le soluzioni architettoniche e gli allestimenti, seppur azzardatissime, è di alto livello. Quindi perchè un uomo di cultura come Armani ha preferito progettare da sé un edificio spogliandolo di tutto e ingrigendolo per ottenere un’architettura contemporanea? Io sono per la cura dei dettagli, l’utilizzo di colori e materiali innovativi per rendere un luogo unico, soprattutto in un’epoca di ricerca, sviluppo e crescita architettonica. E voi?
Fateci un salto e mi direte, tra l’altro tra qualche giorno aprirà una nuova mostra, ricca di colori che merita assolutamente essere vista, dedicata al fotografo francese Charles Fréger, quindi per quanto mi riguarda, nuovo giro!
Verde Alfieri
Mi chiamo Verde, e con un nome così non potevo che essere una creativa. Mentre faccio gioielli che trovate qui Alfieri Jewel Design, mi diverto a scrivere qui per Anna, nel mio blog Alfieri Magazine ma soprattutto di The Ciabatte Pelose che tanto mi fanno impazzire.
Rispondi