Da quanto tempo siamo oppresse, noi donne? Già, da sempre, più o meno. Ma da quando ce ne siamo rese conto? Diciamo da un bel po’. E per quanto ancora dovremo continuare a lottare per i nostri diritti? Speriamo non per molto. Queste sono solo alcune delle considerazioni che molte di noi signore e ragazze ci poniamo, più o meno tutti i giorni. E alle volte siano un po’ stanche. Ma nonostante la stanchezza continuiamo pazientemente a raccontare e denunciare, a cambiare ognuna quello che può. Se vi chiedete da dove mi arrivano questi pensieri, beh da un libro. Il che non è una novità.

I libri mi fanno sempre questo effetto (e non solo a me). Alle volte basta un titolo, o una copertina. A volte un articolo letto su un giornale, su una rivista online, su un blog, come nel caso di “Ragazze di città“. Che certo, il titolo in sé non ha nulla di particolarmente femminista. Però il nostro sesto senso, o senso per quello che cerchiamo e che ci interessa, riesce a cogliere il sottotesto. “Ragazze di città” è un libro svedese dei primi del secolo, di incredibile contemporaneità. Scritto da una pioniera del femminismo e dell’ambientalismo, è il racconto di un breve periodo di vita di quattro ragazze, che condividono un appartamento a Stoccolma e soprattutto una condizione di vita: sono ragazze che lavorano, che, rimaste senza famiglia e senza sostegni, si mantengono lavorando. Se la cavano, seppure con grande fatica e pericoli. Condividono la casa per ridurre le spese, e ne traggono anche incoraggiamento, affetto, sostegno.

Sono impiegate, segretarie amministrative; persone evidentemente capaci ma che non hanno avuto modo di studiare e che, allora come oggi, fa molto comodo che restino efficienti ma sottopagate e sottoconsiderate. Inoltre, dato che all’inizio del secolo il destino naturale delle donne erano il matrimonio e la maternità, questi lavori avevano un carattere temporaneo, occupazioni svolte in attesa che arrivasse il principe azzurro che avrebbe assicurato protezione, benessere economico e felicità. Inutile aggiungere che il principe che arrivava era il più delle volte nero pece invece che azzurro, e la vita da signore sposate e madri di famiglia era spesso di gran lunga peggiore di quelle da modeste impiegate.
Elin Wägner è stata comunque capace di raccontare il piccolo mondo delle ragazze svedesi con freschezza e semplicità, facendo vedere i lati belli di quella vita provvisoria e modesta, dando vita alle differenze di personalità e di condizione delle coinquiline, mostrandoci la loro intimità oltre che i loro sogni e i loro dispiaceri. Regalandoci un ritratto di un tempo e di un mondo, vivido ed estremamente interessante. È un piccolo libro che racconta con lievità la lotta delle donne nel mondo del lavoro. Se il movimento #metoo ha saputo sfruttare la notorietà delle dive del cinema per denunciare i soprusi e gli abusi da parte dei datori di lavoro, e di questo siamo anche contente, noi signore, perché magari ci aiuta, è pur vero che gli abusi sul posto di lavoro, l’approfittarsi delle dipendenti grazie al proprio potere e alla possibilità di ricattarle sono, come si vede in “Ragazze di città”, qualcosa di ben radicato e di molto praticato. E non da ieri.
Del resto io sono sempre stata convinta che attraverso i romanzi non si impari solo la storia, ma anche la sociologia. Che siano i nobili che importunano e si approfittano delle cameriere, o i padroni che abusano delle operaie, o gli imprenditori e i professionisti che ricattano le loro dipendenti, sono davvero tantissimi i romanzi che raccontano, magari non con un atteggiamento di denuncia ma di certo facendolo sapere a tutti, come le donne sono state e sono costrette a subire attenzioni non desiderate. Tra i tempi di “Ragazze di città” e i nostri c’è stato sicuramente un secolo pieno di conquiste, molte di quelle conquiste per cui le protagoniste del romanzo si battono e per cui si è battuta per tutta la sua vita Elin Wägner. Tuttavia il problema è lungi dall’essere scomparso o risolto.
Bisognerà lottare ancora, ogni ragazza lo dovrà fare e speriamo che sia aiutata almeno da qualche ragazzo. Intanto possiamo goderci questa lettura e sperare in un futuro migliore. Buona lettura!








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