Vi riporto qui, come sempre, la recensione dell’ultimo libro che ho letto per Grey Panthers.
La notte, il buio hanno spaventato gli uomini fin dall’inizio dei tempi. Però solo quando scende la notte che ci si rende conto di quanto è grande l’universo, di quanto mistero ci circonda, di quanto si possa scoprire guardano il cielo, osservando la luna, le stelle, i pianeti. Per farlo, naturalmente, ci vogliono degli strumenti, e l’astronomia è una scienza che si è sviluppata intorno all’invenzione del telescopio.

La commedia cosmica, libro molto originale e molto brillante, un po’ saggio, un po’ racconto autobiografico, un po’ reportage giornalistico, prende le mosse dai radiotelescopi che si trovano nel bosco di Westerbork, in Olanda, destinati a captare gli echi del Big Bang e quindi posizionati in modo da non essere disturbati da rumori di motori, macchine, moto, aerei. L’autore andava in quel bosco da bambino, affascinato dagli alberi e dal profumo di resina ma anche dai radiotelescopi. Ignaro che da quello stesso bosco, tra il 1942 e il 1944, sono partiti 100mila ebrei, rastrellati in Olanda e altrove, stipati in vagoni da trasporto animale e portati nei campi di Auschwitz e Sobibor per essere sterminati.
La storia delle scoperte astronomiche si intreccia con quella delle guerre e degli stermini e dagli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, l’astronomia dà luogo, e in un certo senso si trasforma, in astronautica, o cosmonautica. Guardare, osservare, studiare non sono più sufficienti. La rivoluzione della fisica e della matematica, e loro successive applicazioni in computer sempre più potenti, hanno aperto la strada alla conquista dello spazio. Già il termine dovrebbe farci riflettere: qualcuno dice “esplorazione” dello spazio, ma nel linguaggio comune si parla di “conquista”. Che infatti inizia nel pieno della guerra fredda, come una gara tra Stati Uniti e Unione Sovietica a raggiungere l’orbita terrestre prima e poi la luna. E se in effetti il primo uomo a compiere un’intera orbita intorno alla terra su una navicella spaziale, e tornare a raccontarcelo, è stato il russo Yuri Gagarin, sono stati poi gli americani ad arrivare sulla luna, ad atterrarci o meglio ad allunarci, e a raccontarcelo con filmati e fotografie e poi interviste e testimonianze. Quel filmato in bianco e nero del 1969, in cui gli astronauti camminano in assenza di gravità e piantano la bandiera americana sulla luna, è impressa in modo indelebile nella memoria di tutti noi. Insieme alla telefonata di Nixon, che in piena guerra con il Vietnam dichiarava che la conquista della luna apriva una nuova era di pace per tutta l’umanità.
E in effetti c’è questa cosa bizzarra, nella cosmonautica: che con il procedere della tecnologia e delle conoscenze, gli spazi che abbiamo occupato o visitato nell’universo sono stati ammantati di belle parole su una futura convivenza pacifica e la realizzazione di un mondo migliore. Come se bastasse spostarsi, andare via dalla terra e andare su un altro pianeta, per ritrovarsi magicamente a vivere in pace e in armonia. Come se potessimo lasciare sulla Terra il peggio di noi stessi e portare nei nuovi insediamenti soltanto il meglio.
Un fenomeno invece interessante e che fa ben sperare, oltre alle stazioni spaziali internazionali che ospitano astronauti da tutto il mondo, di diverse etnie e generi, è il fatto che tutti i cosmonauti che hanno potuto vedere la Terra dal di fuori (e ormai sono molti), tutti ne hanno colto la bellezza e l’unicità, tutti hanno ammirato il miracolo della vita e capito che si tratta di un bene unico. Si tratta di una sola Terra, in cui tutto quello che per comodità, per ignoranza o per sete di potere è stato diviso e separato, è in realtà collegato, connesso a tutto il resto. Ogni luogo è parte di un tutto, che a sua volta è parte di un tutto ancora più grande e misterioso, l’universo appunto. Forse non c’era bisogno di andare nello spazio per capirlo, e di certo non era questo lo scopo, di chi è andato nello spazio. Ma si tratta di un interessante effetto collaterale.
In questa breve storia di come l’uomo sta andando a conquistare lo spazio (lasciandoci già una bella quantità di spazzatura, che non si sa davvero chi pulirà), troviamo tutte le nostre contraddizioni, tutto il nostro essere intelligenti e costruttivi e collaborativi, e tutto il nostro essere stupidi e distruttivi e individualisti. Che cosa prevarrà, non possiamo saperlo. Auguriamoci che questa volta dalla storia impariamo veramente qualcosa.







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