C’era un tempo in cui questo blog era soprattutto un blog di moda. O forse è meglio dire di stile, di consigli (se mai se ne possono dare) per vestirsi in armonia con se stessi. Un tempo in cui mi facevo un selfie tutte le mattine prima di uscire e raccontavo la storia, le piccole storie dei miei vestiti. E cercavo di dare un’idea di come si può essere chic senza seguire gli stilisti, senza spendere una fortuna, senza essere fashionisti.
C’era un tempo in cui di questa stagione, per la fashion week, andavo a qualche sfilata, o in qualche negozio o a qualche evento; me lo ricorda Facebook, sembrano passati i secoli, ricompaiono persone che nel frattempo ho perso di vista. Però restano i soprabiti, le T-shirt grigie, il mio stile.
Poi è arrivato il Covid, l’emergenza sanitaria, lo smart working, e il mondo si è diviso tra il prima che non ci sarà più e il dopo che è qui ma non sappiamo bene com’è. Scrivere di vestiti è sembrato ridicolo, anzi offensivo, di quel superfluo che infastidisce. E così sono tornata al concetto originario del blog, del diario di bordo, che può pure essere noioso alle volte ma col tempo si rivela prezioso.
A Pieve Santo Stefano c’è l’Archivio Diaristico Nazionale, dove vengono conservati diari di ogni tempo e tipo e persona. Sono un patrimonio meraviglioso, ed è bellissimo che possano essere accessibili a tutti.
È una cosa a cui si pensa di rado, quanto un diario possa raccontarci di un periodo storico e di una nazione, oltre che di una vita personale e unica. Si pensa anche di rado a quanto utile per noi stessi è un diario.
E ve lo dice una che non lo tiene.
Scrivo molto, ma non ho mai avuto il diario con il lucchetto antimamma da ragazzina, e il mio diario sta qui su WordPress, alla portata di tutti.







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