Non ho nulla da aggiungere a quanto si scrive nei libri e in rete, quanto si recita nei teatri, quanto si fa pubblicamente.
Ho un senso di insoddisfazione e di insufficienza, però.
Che forse mi viene dal fatto di veder aumentare la violenza verbale, e la tolleranza verso la violenza verbale.
I politici per primi, ma anche le persone qualsiasi, quelle che incontri per strada. Domenica con altri volontari di Legambiente eravamo in una zona un po’ periferica di Monza, e camminavamo con un’agronoma intorno a un bosco su cui stiamo cercando di organizzare un progetto di “salvataggio”. C’era un signore che faceva passeggiare due cagnetti. È bastato dirgli cosa stavamo facendo che si è scagliato non contro di noi ma contro tutto il mondo, la “marmaglia” in attesa di essere ricevuta dalla questura (lì vicino), il sindaco, l’amministrazione, gli italiani. Era una persona normale, ben vestita, cinquant’anni scarsi, uno che sicuramente si ritiene una brava persona, ama gli animali, lavora e fa la raccolta differenziata. E nello stesso tempo era una persona piena di rabbia e livore, che esprimeva con parole offensive e violente.
In via Molise dove stiamo facendo un lavoro di depavimentazione, pensavamo di mettere delle panchine: l’ostilità degli abitanti verso questa idea ci ha colpito. Panchina uguale ragazzi rumorosi di notte e barboni di giorno, detto anche qui con parole piene di disprezzo verso gli altri.
Non faccio altri esempi.
Mi resta un senso profondo di disagio.
Le piccole violenze quotidiane che lasciamo correre. Quelle che ci sfuggono. Quella rabbia che fa parte di noi umani, e ci vuole tanta attenzione per tenerla a bada, contenerla, pacificarla.
Insomma scrivere, parlare, cantare contro la violenza va benissimo.
Però dovremmo fare qualche passo più intimo, più personale, più sgradevole anche, sulle nostre responsabilità come singoli individui.
Se non si comincia da se stessi, temo non si vada molto lontano.








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