Facevo l’università quando ho scoperto Il lamento di Portnoy di Philip Roth. Non mi ricordo chi me ne ha parlato, ma ricordo di esserlo andato a comprare. Di solito, in quel periodo universitario di pochi mezzi e tanto tempo, andavo in biblioteca e mi portavo a casa i romanzi che volevo leggere. Si potevano tenere un mese ma in genere in una settimana li finivo. Tra viaggi in treno e momenti vuoti tra un corso e l’altro, il tempo non mi mancava, e l’avidità delle scoperte che stavo facendo faceva il resto.
Il lamento di Portnoy è stata la scoperta di una letteratura diversa. Era un libro sconvolgente, per i miei tempi. Per l’argomento, certo, e per l’assoluta onestà del racconto. Che la letteratura potesse essere anche confessione, e che la confessione potesse essere letteratura, era cosa che sapevo e avevo anche incontrato. Ma che una confessione, un monologo interiore…
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