Sabato sera quando sono tornata a casa ho trovato un lungo messaggio di un’amica che sta imparando a lavorare a maglia. A un certo punto si era accorta che un punto era sbagliato, aveva provato a correggerlo, non ci era riuscita, aveva provato a disfare un ferro punto per punto, poi un altro e alla fine aveva disfatto tutto l’ultimo pezzo del lavoro e ricominciato da capo.
E dopo la frustrazione iniziale, e il disappunto per dover disfare quel pezzo di lavoro, si era accorta che, dopotutto, non era poi stato un granché. Qualche ferro e via, il lavoro era ripartito con slancio.
E qui c’è un pezzo dell’insegnamento della maglia. Che si sbaglia anche quando si è bravi e ci si sa fare. Che si può, e si deve, disfare quello che è venuto male, e rifarlo. Che le cose non vanno come noi abbiamo deciso nella nostra testa. C’è un mondo là fuori, fuori dalla nostra testa, dai nostri desideri e dalle nostre pretese, e pensare che si adatti a noi quando e come vogliamo, è, beh, come minimo stupido e protervo. E non vuol dire che siamo impotenti o non contiamo nulla. Vuol dire che non ci siamo solo noi, e per fortuna. Vuol dire che il mondo esiste e sta a noi come prenderlo, se scontarci, arrabbiati perché le cose non vanno come avevamo deciso, o incontrarci, apprezzando l’imprevisto oppure, quando proprio non lo si può apprezzare, occupandocene in modo intelligente e costruttivo.
A Milano si dice “Fà e desfà l’è tt un laurà”: fare e disfare è tutto un lavorare. Ma che bel lavoro il lavoro a maglia! E appunto ci può imparare un sacco di cose, con un po’ di fatica ma con tanta soddisfazione!
Vero, piace tanto anche a me, anche se ultimamente non trovo il tempo. Anche a Genova c’è un detto simile, anche un po’ più incisivo
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