#pandemia zona arancione. Cose che si fanno in smart working

Non si può dire che lo smart working sia sempre veramente smart. Spesso è lo stesso identico lavoro che abbiamo sempre fatto, solo fatto da un altro posto, e la parola smart è uno di quegli abbellimenti che le aziende (e non solo) spesso fanno per indorare la pillola. Come il cartellino che ora si chiama badge. Timbrare il cartellino fa veramente impiegato, uno che “ditemi che cosa devo fare e io lo faccio”. Il badge poi molti lo storpiano in beige, che vorrebbe dire tutt’altro ma vabbé.

Quindi ci sono parecchie persone che si devono presentare al computer come una volta si presentavano in azienda, e c’è qualcuno che li controlla se sono arrivati dieci minuti dopo. Quando il senso dello smart è che tu fai quello che devi, quello che hai concordato, quello che è previsto nel tuo contratto, e il tempo che ci metti dipende da te. Magari sei smart e sei veloce. Magari sei uno che la mattina non carbura e verso sera prende il via. Lo scopo non dovrebbero essere le 8 ore, ma quello che fai, che tu ci metta 8 ore oppure 6 oppure 10. Che magari se ce ne metti 6 fai anche qualcosa d’altro, utile per l’azienda magari in modo indiretto. Ora che siamo tutti sui social, che siamo tutti brand ambassador, certi confini a cui ci si era abituati non hanno più motivo di esistere.

Certo poi come sempre tra la teoria e la pratica ci sono di mezzo laghi di varie dimensioni e a volte pure il mare. E un po’ di impegno nostro: così come tocca anche a noi rendere significativo il lavoro che facciamo, tocca a noi essere un po’ smart.

Prenderci degli spazi per noi, che in ufficio se contassimo le chiacchiere e i caffè e i disturbi generati dalla convivenza le ore di lavoro sarebbero meno di quelle previste dal cartellino o beige che dir si voglia.

Cominciare a un’ora che ci è più consona, molto presto, molto tardi, nè presto nè tardi.

Stare seduti comodi, avere la giusta distanza dallo schermo, una postazione luminosa. Che magari inquadrata nel video quando fate la riunione non è un granché, ma chi se ne importa. C’è un account Twitter che si chiama Room Rater, che è stato creato durante la pandemia da due americani che commentavano le stanze da cui parlavano i politici. Ma noi che siamo in smart working non sottostiamo a queste valutazioni.

Non dimenticarci mai di noi stessi. Per quanto il lavoro ci possa assorbire, per quanto ci possa piacere, per quanto ce ne possa essere tanto, siamo noi che lo facciamo. E abbiamo bisogno del carburante, del riposo, del tagliando periodico, della manutenzione, del rispetto, della considerazione. Di cui ci dobbiamo occupare noi. Senza deroghe. Senza rimandi.

Oggi per esempio c’è un bel sole. Prima che tramonti non volete andare a fare una passeggiata? Schiarisce le idee, ritempra, allarga l’orizzonte.

Io più tardi vado. Andate anche voi!

Anna da Re

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