Una volta Donna Moderna aveva un blog collettivo che si chiamava Giorni Moderni. Ci ho scritto per un certo periodo, sempre rivolgendomi alle signore after fifty, che tra le lettrici di quel bel settimanale ce ne sono parecchie. Una delle cose che mi piaceva di più era che c’erano molti commenti, da parte delle lettrici. In più di una mi hanno scritto che si sentivano invisibili. Si percepiva chiaramente che ne soffrivano, e che non si riferivano esclusivamente agli sguardi maschili (su questo anzi, sono convinta che molte donne apprezzino assai di non essere più oggetto di sguardi inutilmente viscidi…).
Poco tempo fa invece, ho trovato su internet un articolo inglese che si intitolava The elastic generation. Era un link dentro una delle tante, troppe newsletter che ricevo. Ma mi ha colpito e me lo sono mandato alla mia posta personale, per leggerlo in un momento libero. E la mia posta personale è strapiena e butto via un sacco di messaggi senza aprirli, ma questa Elastic Generation è sopravvissuta a tutti i repulisti. E quando l’ho aperta, ho pensato che si trova sempre quello che si sta cercando, anche se non sembra.
Link dopo link, The elastic generation si è rivelata una superinteressante ricerca inglese fatta dall’agenzia J. Walter Thompson, che ha condotto un’indagine sulle donne tra i cinquanta e i settant’anni, per scoprire che sono donne nel pieno della vita, fondamentali per sé, per la propria famiglia, per la comunità e per il mondo del lavoro. Che è la scoperta dell’acqua calda, direte voi e dico anch’io. Ma per il mondo del marketing e della pubblicità quelle donne non esistono, sono invisibili. Nonostante abbiano pure dei soldi da spendere.
Ora figuratevi che se un’agenzia di pubblicità si accorge di questo fenomeno e lo studia, ‘sto fenomeno dev’essere davvero importante e macroscopico.
Quindi ragazze, saremo pure invisibili, ma punto primo L’essenziale è invisibile agli occhi, come faceva saggiamente notare Il Piccolo Principe (il libro più venduto al mondo dopo la Bibbia, by the way), e punto secondo se essendo invisibili facciamo così tanto, figuriamoci quando ci vedranno.
O quando smetteremo di preoccuparci di essere invisibili.
Io vi dirò la verità, non mi sento molto invisibile. Forse perché sono stata un’adolescente timida e goffa (chi non lo è stato), poi una trentenne in lotta con un mondo rigido e maschilista, che se appena ti arrabbiavi eri un’isterica e che piuttosto che mollarti un angolino di potere ti avrebbero tirato sotto nel parcheggio dell’azienda; in seguito una quarantenne che si dedicava alla famiglia, nuova e di origine, e il lavoro lo vedeva come soprattutto un lavoro, e infine una cinquantenne che la famiglia nuova non ce l’ha più e quella d’origine si è parecchio ridotta, e il lavoro continua a farlo con passione e dedizione ma che se l’azienda per cui lavora o i capi o i colleghi o chi passa di lì non lo capiscono, beh pazienza non l’hanno capito.
E in questi nuovi panni se qualcuno la vede bene, ma lei vede se stessa, e si vede e si sente così nitidamente, che se gli altri non la vedono pazienza.
Però è un tema importante ed è quello da cui potremmo partire.
Fino a ieri pensavo che sarei partita dai vestiti, che sono il guscio che ci protegge, anche proprio letteralmente, e sono uno dei nostri modi di presentarci al mondo.
Ma una delle invisibilità di cui molte donne si lamentano è proprio quella dei vestiti.
Vestiti che non siano straccetti così sommariamente tagliati e cuciti che stanno bene solo a una ragazza dotata della bellezza dell’asino (cioè praticamente tutte) e che si rovinano dopo che li hai messi cinque o sei volte.
Vestiti che non raggiungono nemmeno il minimo sindacale di rispettare i corpi e la loro varietà, e che chiedono ai corpi di adattarsi loro, ai vestiti.
Stavo in una sauna qualche giorno fa, e mi guardavo intorno. Eravamo tutti nudi come si addice a questa pratica, ed era incredibile la varietà di forme che avevo di fronte a me. Non era neppure una questione di bello e brutto. Ogni corpo aveva una sua unicità e una sua personalità, per cui non ce n’era nessuno che si potesse definire brutto, sebbene, usando come parametro la bellezza come la concepisce il nostro tempo, li sarebbe dovuti definire brutti tutti quanti.
E tutti quei corpi e tantissimi altri, con le loro particolarità, stranezze e deformità, dopo quel rito avrebbero dovuto infilarsi dentro vestiti non fatti per loro. Vestiti fatti per dei manichini che non esistono, oppure semplicemente fatti male. Vestiti che magari non stanno bene neppure ai manichini, infatti se guardate dietro la vetrina spesso si vedono spille e spilli che cercano di far tornare delle forme che non tornano.
Per non parlare delle scarpe.
Da qualche tempo scrivo sul blog di una mia amica che disegna e realizza gioielli. Lei scrive di design e arte sul mio blog, e io scrivo di moda sul suo. Lo scambio è nato con l’idea di aumentare il traffico, ma io provo un grande senso di libertà a scrivere sul suo blog. Scrivo delle cose che non scriverei su Chic After Fifty. Mi sono un po’ ingessata da sola, lo so, ma questa è un’altra storia.
Ho scritto di scarpe comode, o meglio dell’assenza di scarpe comode che siano anche belle. Le scarpe comode hanno una vaga allure ortopedica, come se avessero bisogno di stare comodi soltanto quelli che hanno subito delle operazioni, o sono deformi o hanno abdicato all’idea di essere ancora degli esseri umani che vogliono presentarsi al loro meglio.
Ora se non avete più vent’anni come immagino sia se state leggendo queste pagine, sapete che i piedi, poverelli, ci hanno portato in giro per anni e si vede. Noi magari li abbiamo pure maltrattati, con scarpe troppo strette, tacchi troppo altri, troppi chilometri oppure troppo pochi, e magari anche un po’ troppo peso da portare in giro.
E quindi i piedi arrivano ad un certo punto che si ribellano e si fanno sentire. E’ come se ci dicessero ehi ragazza, noi ti stiamo portando in giro da cinquant’anni e tu pretendi di infilarci in questi cilici, senza neanche chiederci il permesso e senza ringraziarci dopo? Beh arrangiati, noi ci siamo stufati. O ti decidi a trattarci meglio o ti facciamo vedere le stelle!
Io sono fortunata e amo sneakers e stivali e stivaletti e anche le stringate maschili. Non ho quasi mai portato i tacchi e non ne sento la mancanza. Spesso le sneakers mi servono per togliere l’eccesso di formalità da un paio di bei pantaloni con una bella giacca. D’altro canto lavoro in un ambiente molto informale e mi sono creata uno stile casual chic che mi piace molto. E che sta bene con sneakers, stringate e stivali, che sono le uniche scarpe comode che al momento si possono comprare e anche guardare. Però capisco che ci sono signore che questo tipo di scarpe non le amano, a cui non stanno bene, che lavorano in ambienti più formali e che insomma poverine non vorrei essere nei loro panni.
E soprattutto mi chiedo come mai nessuno abbia cercato di fare delle scarpe comode e belle. Voglio dire, abbiamo inventato i computer, riusciamo a fare delle case di 40 mq con tutte le comodità, abbiamo dei telefoni che fanno tutto, e non c’è uno stilista che ha voglia di raccogliere la sfida?
Oppure è questa la prova definitiva che noi signore siamo invisibili?
E se è davvero così, e se davvero non vogliamo più essere invisibili, e se è vero che, magari non tanto in Italia ma in tanti altri paesi, le donne dopo gli anta, messe fuori dal mercato del lavoro, se ne inventano uno e diventano imprenditrici, non è che c’è una stilista donna, una signora chic after fifty come noi, che ci vuole pensare?
Già se solo si ottenesse questa cosa avrebbe valso la pena di scrivere questo libro…
Elastic generation: le donne resilienti
Ma ritorniamo all’Elastic Generation. E’ proprio l’aggettivo elastic che mi ha colpito, che mi ha evocato qualcosa per cui ho conservato il link e poi l’ho aperto. Una generazione elastica. Brava nella resilienza. Parola che lo so, va parecchio di moda, ma ha un bel senso e mi piace.
Mi piace anche che venga dal mondo della scienza e dei materiali, dal mondo degli ingegneri concreti, che misurano e contano e cercano di usare un metodo e di mettere ordine. Mi piace perché anche se viene dal mondo della materia dà il senso della varietà della vita, di quell’ondeggiare tra bello e brutto, di quel continuo mutare. Giornate che cominciano magari bene, con una buona colazione e dei pensieri allegri, e poi si incupiscono perché ci lasciamo contagiare dal malumore di un collega, o perché non troviamo parcheggio e ci arrabbiamo perché accidenti, il parcheggio ci dovrebbe essere, ieri c’era, l’altro ieri anche, non è possibile che oggi non ci sia; poi ritorna il sereno perché ci ha telefonato un’amica e ci ha fatto ridere; e poi leggiamo qualcosa di interessante, scopriamo un sito ben fatto, ci prepariamo una buona cena… insomma di cose in una giornata ne succedono, figuriamoci in una vita.
E capitano cose brutte e difficili, cose orribili e insopportabili, ma la resilienza ci tiene in piedi, ci fa trovare risorse che non sapevamo di avere, ci fa andare avanti quando sembra che non ce la faremo mai.
Che questa generazione, quella dei baby boomer, alla quale in realtà io non appartengo neppure del tutto, sia particolarmente resiliente io non lo so. Devo dire che conoscendo la storia dei miei genitori, gente assolutamente normale ma che era adolescente sotto il fascismo e giovinetta/giovanotto durante la guerra, e giovane adulto nel dopoguerra, beh loro sì che erano resilienti. I baby boomer sono dei bamboccioni, al confronto.
E in fondo è l’umanità ad essere resiliente. Se no non si capisce come sarebbe ancora qui, orrore dopo orrore e nefandezza dopo nefandezza. Voi mi direte che conosciamo solo le infelicità e le nefandezze perché la felicità non fa storia e neppure i romanzi, e avete anche ragione, ma arrivati a un giro o due di anta, non ditemi che non pensate che l’umanità sia bellissima ma anche orribile. Capace di cose che non ci si potrebbe mai immaginare e che non si vorrebbe mai immaginare.
La ricerca sulla Elastic Generation si è poi concentrata sulle donne, che sono particolarmente elastiche e resilienti. E non è che ve lo debba spiegare, care signore after fifty. Ve ne siete accorte da sole e sulla vostra pelle. Come minimo siete alla vostra terza vita, e ogni volta avete ricominciato da capo. Forti del fatto che finché siamo vivi tanto vale vivere. Consolate dal fatto che perché qualcosa cominci qualcosa d’altro deve finire.
Ribelli: le donne oltre e prima delle bambine
E poi giochiamoci questo “ribelli”.
Dopotutto le Favole della buonanotte per bambine ribelli è il libro più venduto del 2017 (certo, lavoro nell’editoria e i libri sono molto presenti nel mio panorama di riferimento). E ribelli era la parola chiave.
E guarda caso è arrivato proprio al momento giusto: dopo anni e anni che le donne lottano per l’indipendenza e la parità, finalmente hanno raggiunto qualche posto importante e una massa critica per cui lo spirito del tempo è dalla loro parte. Non che non si faccia ancora una grande fatica. Non che non ci sia da stare in guardia e da lottare e da rintuzzare. Ma complessivamente, nel grande schema delle cose che si fa fatica a vedere ma che ogni tanto si illumina, le donne, almeno nel nostro mondo occidentale, sono messe meglio di una volta.
Non credo che siano molte le famiglie in cui quel libro è diventato la lettura della buonanotte, ma ci possiamo accontentare del fatto che sia nella libreria. Le bambine se lo troveranno da sole, come sempre.
In fondo, è un gran passo avanti che la ribellione, che quando io ero giovane era d’obbligo per certi gruppi ma era vista come il fumo negli occhi dai genitori, e che negli anni ottanta è passata di moda con una rapidità preoccupante, adesso sia diventata una pratica per tutti, prima di andare a letto.
E le signore ribelli?
Quelle signore invisibili ed elastiche, vogliono pure essere ribelli?
Beh, siamo cresciute dopo il 68 e il femminismo ce lo siamo vissute tutto, che ci piacesse o che fossimo contrarie. Ci siamo messe gli zoccoli svedesi con orrore dei fidanzati tradizionali, e le gonnellone a fiori. Ci siamo date da fare, con tutti gli eccessi e le stupidità del caso.
Poi abbiamo fatto famiglie e figli oppure non li abbiamo fatti, e abbiamo vissuto in tanti modi diversi.
Quello a cui ci ribelliamo ora, senza strillarlo al mondo ma cercando di metterlo subito in pratica, è di essere messe da parte.
Perché tanto per cominciare la vita si è allungata, più o meno tutte abbiamo una professione e abbiamo studiato, non è che ci possiamo adattare ad essere delle nonne o delle tardone o delle ex belle donne (faccio notare come solo nonna sia una definizione positiva, le altre hanno un bel contenuto di cattiveria).
E poi provate a iscrivervi a un corso qualunque: acquarello, teatro, storia del cinema, fotografia, medicina ayurvedica, lindy hop, tennis, potrei farvi un elenco lungo tutto il libro. Troverete quasi solo donne. Di età varie ma quasi mai giovani. Di estrazione sociale e culturale varia. Belle, brutte, single, single di ritorno, sposate, risposate, fidanzate. Tutte avviate sulla via dell’invecchiamento, eppure tutte desiderose di imparare qualcosa di nuovo, di divertirsi, di fare amicizia, di vivere.
Molte hanno avuto poche possibilità da giovani e ora vogliono recuperare: cultura, conoscenze, saper fare. Molte sono rimaste sole e cercano nuove strade (che non vogliono dire necessariamente nuovi compagni). Alcune vengono nonostante mariti compagni o figli le guardino strano perché, dai, mamma, hai settant’anni e decidi adesso di imparare a ballare? Ma ti pare?
Allora queste donne ci sono e sono tante. Io sono una di loro e solo per questo mi permetto di scrivere qualche idea, qualche riflessione e qualche consiglio in merito.
Hai mai sentito parlare delle Perennial? Condivido abbastanza quello che scrivi, io sono una boomer, parola pronunciata con enorme disprezzo dai gggiovani (quarantenni) di oggi, che ci accusano di aver rovinato il mondo, contaminato tutto, bevuto tutta l’acqua, e pensano che tutto quello che hanno oggi, che vivono oggi (studiare tutti, studiare quello che si vuole tutti, sesso libero e sicuro, viagi low cost e altro ancora) siano diritti messi lì da sempre, e non freschissimi. Ecco perchè siamo invisibili, credo, non siamo molto simpatiche. Invece continuiamo, come dici tu, a goderci la vita pienamente, a volere imparare cose nuove, a fare e disfare e lavorare, perchè comunque anche noi siamo cresciute ben con molte comodità e siamo sempre “ragazze”. La moda sì, non ci vede, invisibili agli occhi, o forse più sagge e misurate nel non comperare più solo per voglia, ma per necessità, e non quello che vogliono gli altri, ma quello che ci piace. Grazie dell’ospitalità
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Si, conosco le Perennials, ho anche la loro T-shirt!
Interessante il tuo collegamento tra invisibilità e antipatia, ci devo pensare.
Grazie del commento!
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anch’io ho la t-shirt! 🙂
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