Zona gialla, arancione o arancione scuro, il martedì è il giorno dell’ufficio. Che mentre prima era un non luogo, dove venivo tutti i giorni tranne il weekend con quell’automatismo che è tipico delle cose che fai sempre, che non ci pensi e soprattutto pensi che farai sempre, ora è un luogo.
Ne noto per esempio la luce, che in questi giorni di per sè molto luminosi è accogliente, piacevole. Guardo dalle grandi finestre e vedo gli alberi del parco dell’Idroscalo, il laghetto con le anatre (e le carpe), il profilo di Milano in lontananza. Guardo la scrivania, le librerie dietro ogni tavolo, i telefoni fissi che non usa più nessuno, le stampanti che vengono usate di rado, il fax che credo non venga usato proprio mai. Se non fosse per i libri, di cui continuamente ne arrivano di nuovi e ne scompaiono di vecchi, potremmo parlare di archeologia industriale. Perché a parte le due o tre persone che hanno un Mac, pure i computer sono datati e hanno un’aria vetusta, pronti per l’archivio.
Per questo viene da pensare Come eravamo. Perché gli automatismi ci sono ancora, si arriva e si parcheggia più o meno dove si è sempre parcheggiato, si fa la coda alla mensa, si salutano i colleghi nel corridoio, si appende il cappotto all’attaccapanni, si riempe la borraccia, si scrive, si telefona. Per un giorno, sembra quasi che non sia passato un anno di quelli che fanno da spartiacque. Sappiamo ormai con certezza che il prima non ci sarà più. Non importa più tanto che fosse meglio, peggio, uguale o diverso. Immagino che avranno fatto un po’ ridere e un po’ piangere anche voi, quelle ridicole affermazioni del tipo “eravamo felici e non lo sapevamo”. Che io quando ero felice lo sapevo benissimo, e sapevo benissimo anche quando non lo ero. E avevo gli occhi abbastanza aperti per notare le assurdità, le idiozie, le efferatezze e pure le bellezze del mondo che mi stava intorno. Avevo anche gli occhi, e tutto il resto, abbastanza all’erta per sentire subito che il cambiamento che si presentava non era un fatto temporaneo e di modesta portata. Dopo di che il passato è passato, ed è significativo solo se ne sapremo ricavare qualcosa di buono per noi e per l’universo che abitiamo.
E quindi ci resta il come non saremo più. O il come saremo. Domandona alla quale nessuno di certo sa rispondere, di certo non io.
E in fondo basta continuare, andare avanti, pedalare. Che come pare dicesse Einstein, a vita è come andare in bicicletta: per rimanere un equilibrio, bisogna continuare a muoversi.
Buona giornata!
Anna da Re
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