Molti lottano con il tempo e pensano che l’avere poco tempo sia un male contemporaneo, addirittura provocato dai social (e dal nostro uso bulimico), quindi una cosa diciamo degli ultimi 10, massimo 20 anni. Tutto sommato anch’io, fino a due sere fa, mi sarei sentita di dire che quantomeno la percezione di avere poco tempo fosse un problema di adesso. Ci tengo a precisare che si tratta di percezione e non di realtà, perché l’umanità nel suo insieme non ha mai goduto di tanto tempo libero come ora, e anzi il concetto stesso di tempo libero è qualcosa di recente.



Però mi ha colpito molto, un paio di sere fa alla radio, ascoltare un radio dramma del 1958, intitolato Il taccuino degli impegni, sul tema della mancanza di tempo. Il protagonista è un disoccupato che va in un’azienda a cercare lavoro e si trova circondato di persone che corrono e si agitano, che a lui non danno retta perché non hanno tempo, e tra loro si accusano e scusano perché non hanno fatto in tempo, perchè non riusciranno a fare in tempo, perché non c’è abbastanza tempo… Qualcosa che ci suona familiare, anche se ovviamente il linguaggio non è lo stesso e a nessuno al momento verrebbe in mente di cercare lavoro andando direttamente in un’azienda.
Ma la frase “corrono tutti dietro al tempo, e il tempo gli dà la caccia” è davvero più che contemporanea. E dunque che cosa ne possiamo dedurre? Di sicuro che il male del tempo è figlio della produzione industriale, dell’abbandonare i vincoli “naturali” dell’ambiente intorno a noi per sostituirli con dei vincoli “artificiali” e modificabili a nostro piacimento. I grandi vantaggi della produzione di massa, dell’elettricità che ci ha reso indipendenti dall’alternanza notte e giorno, della vita in città che non conosce stagioni, si portano dietro il grande svantaggio di un tempo estensibile o contraibile. Le infinite opportunità che il mondo offre a ciascuno di noi ci ingolosiscono e vorremmo poter fare tutto, pur avendo a disposizione una sola vita.

Possiamo anche dedurre che sta a noi rimettere il tempo, e la sua percezione, al suo posto. Cioè dopo di noi, al nostro servizio. Dandogli il giusto valore e organizzandoci sapendo che tutto non si può fare ma che si può scegliere, e una volta ottemperati gli obblighi possiamo far finta che il tempo che ci rimane sia infinito e pretendere che ci stia dentro tutto per poi ritrovarci scontenti, oppure considerare che il tempo che ci rimane è un’entità finita, dentro la quale ci possono stare un certo numero di cose, e possiamo scegliere quali. Ci si sente già meglio a ragionare così, non trovate?
Potrebbe essere addirittura un buon proposito per il nuovo anno (e vale anche per i libri da leggere…)!
Buona serata
Anna da Re
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