Parlare del bene e del male sembra un esercizio intellettuale lontano dalla realtà, ma non lo è affatto. E non solo perché da un momento all’altro, senza preavviso, potremmo essere chiamati a scelte drammatiche e di grande conseguenza. Ma anzi perché la lettura della realtà è difficile e distinguere tra il bene e il male può essere di grande aiuto per capire, e capire per tempo.
I genocidi del ventesimo secolo, e la Shoah in particolare, sono stati oggetto di studi e riflessioni. Credo in parte perché sembrano incomprensibili, inconcepibili.
Gabriele Nissim è uno che ha dedicato la vita, allo studio dei genocidi e soprattutto di quello che si può fare per evitarli, in futuro. Il giardino dei giusti, i libri, gli incontri nelle scuole e con la gente normale, sono tutte cose che Nissim fa in continuazione, senza stancarsi di ripetere che i genocidi sono un atto della volontà, una scelta, e che come si sceglie di compierli si può anche scegliere di non compierli. Che i genocidi sono legittimati dal fatto che riguardano “gli altri” e che la difesa e la protezione dei “nostri” passa attraverso l’uccisione degli altri. Che i sopravvissuti sono delle sentinelle il cui compito è quello di cogliere i segnali che ci potrebbero far capire quando un genocidio si sta preparando, e fermarlo. Che chi esercita il bene non è un eroe perfetto e un modello inarrivabile, ma uno come noi, che nel momento di decidere da che parte stare ha deciso di stare dalla parte del bene; anche se fino al giorno prima non lo aveva fatto e addirittura aveva esercitato parecchia violenza o aveva approfittato di varie situazioni. Che la Shoah non è un qualcosa di unico: se lo fosse vorrebbe dire che non si ripeterà più, e in un certo senso potremmo stare tranquilli. Invece si può ripetere, e se non pensiamo che si possa ripetere non siamo preparati a vederlo.
Perché alla fine la cosa che è davvero importante è cogliere i segnali quando arrivano. Nel ripercorrere la storia i segnali si vedono tutti, sono forti e chiari. Ma nel vivere la storia è tutto molto più complicato, sfumato, nebbioso. Eppure bisogna essere attenti, sempre, e provare a vedere quei segnali. Non è detto che ci riusciamo, non è neppure detto che leggere i segnali per tempo garantisca che i genocidi non avvengano. Ma l’averci provato fa sicuramente la differenza. Per noi stessi e per gli altri.
Ecco su questo “provarci” si è chiusa la presentazione del libro “Auschwitz non finisce mai”, al Teatro Franco Parenti di Milano con Francesco Cataluccio e Anna Foa. Io trovo che ascoltare Gabriele Nissim sia di grande conforto, soprattutto nel momento pericoloso che stiamo vivendo. Così come leggere i suoi libri, che ci parlano e sembrano dirci esattamente questo, proviamoci, è possibile, ce la possiamo fare.
Non posso che ringraziarlo di tutto cuore.
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