Signore invisibili #4: e se la risposta fosse lo stile? Uno stile tutto per sé?

Forse c’è una risposta, al dramma dell’invisibilità dopo i fifty. Lo stile. Il proprio stile. Uno stile tutto per sé, per usare uno stilema molto usato.

Lo stile, secondo me, è qualcosa di personale, che si evidenzia nel tempo e che raggiunge il suo apice quando una signora ha passato i quaranta. Che ha avuto tempo di provare diversi approcci ai vestiti, ha vissuto un po’ di vita e si è resa conto di parecchie cose, ha passato dei brutti momenti e imparato che se ne esce, ha avuto modo di accumulare un po’ di capi base belli e durevoli, e quando va a fare shopping non si lascia irretire da quel che i negozianti vogliono farti comprare ma sceglie.

In genere si notano, le persone che hanno uno stile.

Per esempio perché hanno sempre indosso cose che gli stanno bene. Che non è sempre facile, anzi alle volte è molto difficile.
Vi ho già detto quanto trovo fantastica la varietà di forme dei corpi delle donne (anche degli uomini ovviamente, ma non ce ne occupiamo qui). Ma è chiaro che il pret-à-porter o ready to wear, l’approssimazione delle taglie e gli one size fits all (how could it be, really?) devono prendere delle misure che non sono di nessuno nello sforzo di essere di tutte.
Poi secondo me gli stilisti sono pure un po’ sadici, pensano alla donna ideale, usano i manichini, sfilano con le modelle. Sono un po’ come i politici che non sanno quanto costa un litro di latte.
Non tutti, per carità.
Però quelli che disegnano per donne vere spesso vengono relegati a quel mondo di taglie più che ora si chiamano curvy e che però stanno sempre nelle pagine in fondo dei giornali femminili oppure nei numeri che non si sa come riempire.

Sono riconoscibili, le persone che hanno uno stile.
Le vedete da lontano e sapete che sono loro. Anche con indosso un colore che non hanno mai portato prima.
Perché il loro stile attinge direttamente alla loro personalità. Non viene dall’esterno, dai diktat della moda (che fra parentesi, ma vi pare che uno debba seguire i diktat della moda? non è un termine davvero inquietante, quel diktat con tanto di kappa?).
Semmai sfrutta la moda, che propone e ripropone.
Così se c’era qualcosa che ci piaceva e che poi è passato di moda, il che vuole anche dire che non lo si trova più in vendita, con molta probabilità ricomparirà dopo una ventina d’anni.

Io per esempio ho sempre adorato le espadrilles. Le trovo comode e molto chic. Si sformano molto rapidamente e temono anzi aborriscono la pioggia, ma costano anche pochissimo e ci si può sbizzarrire ad averne di tanti colori e abbinarle in modo sempre diverso. Le portavo da ragazza, quando stavo a Pisa e le chiamavamo “spardegne” come i livornesi. Allora c’erano di pochi colori, ma erano davvero la soluzione ideale per l’estate. Sono pure intelligenti, con la suola di corda e la tela di cotone i piedi stavano freschi, ma erano anche coperti. Ché non tutti abbiamo piedi da esposizione e le strade in cui camminiamo non sono sempre pulite. Poi le espadrilles a un certo punto sono scomparse. Si trovavano in certi posti di mare, in quegli empori che vendono di tutto, e solo nere e blu. Si trovavano in Francia e in Corsica, ma insomma era un po’ una caccia. E un giorno qualche stilista ha ripescato le espadrilles e ha deciso che era tempo di farle tornare di moda. E così sono ricomparse. Reinterpretate e rielaborate, con le zeppe, con i lacci intorno alla caviglia, con i fiori e i ricami. Ma per fortuna sono tornate pure le classiche, originali, semplici e basiche espadrilles. E sono tornate anche quelle che si portavano con le gonne, quelle con la zeppa di corda e l’allacciatura alla caviglia. Che io non ho portato ai tempi, ma che invece porto ora con grande soddisfazione. Di rado perché sono alte e io cammino troppo per portare i tacchi. Ma quando ho voglia di sentirmi più alta e di dare slancio alle gambe le ho lì pronte e per essere così alte sono in effetti comode assai.

Oppure i cappotti lunghi. Una ventina d’anni fa, e probabilmente anche vent’anni prima e vent’anni prima ancora, si portavano dei bei cappottoni lunghi fino alla caviglia. Che avevano l’indiscutibile vantaggio di tenere caldo. Che in fondo è quello che un cappotto dovrebbe fare, no? Io ne avevo preso uno grigio, avvolgente e morbido che era come stare dentro una coperta. Chiuso con il doppiopetto, con un bel collo che si poteva chiudere anche lui. Elegante nella sua estrema semplicità. Un cappotto che vestiva, avrebbe detto mia mamma.
Lo portavo con un colbacco di pelo di marmotta e mi chiamavano Anna Karenina. Che come icona di stile non doveva essere male…
Poi ovviamente la moda ha fatto una bella virata e per un po’ di anni ce la siamo dovuta cavare con cappottini corti e smilzi, compensando con stivali, calze spesse e pantaloni per noi freddolose croniche. Oppure con i piumini, che sono supercomodi e leggeri e tanto tanto intelligenti ma secondo me mica troppo belli. E parecchio tutti uguali, tanto è vero che qualcuno mi ha detto ah, voi a Milano avete la divisa, tutte con il piumino nero per tutto l’inverno. E in effetti se salite su un treno o un mezzo pubblico il piumino nero è di certo il capo più indossato. Con tante varianti ma non abbastanza variate da sovrastare il concetto di “piumino nero”. E appunto io capisco perfettamente la comodità, la praticità, la leggerezza, la non sporchevolezza. E la superiorità rispetto al cappottino striminzito. Già il cappottino a uovo che a un certo punto qualche stilista ha tirato fuori dal cappello è stato un passo avanti: a parte che la forma è più compatibile con le imperfezioni di noi tutte signore, consentiva di metterci sotto anche una giacca in più, un pullover spesso oppure due, uno strato supplementare.
E poi finalmente quest’inverno sono tornati i cappottoni. Evviva evviva! Io avevo il mio cappottone grigio ancora nell’armadio. Me lo sono portato dietro per tre traslochi, da una casa all’altra, dentro la sua custodia ben chiusa con un antitarme. Ci sono cose che ti chiedono di essere conservate. Vestiti o accessori che quando stai per darli via perché pensi che non li metti più ti guardano e ti dicono no, non mi eliminare. Non è che ti implorano. Te lo dicono con una tale autorevolezza che non puoi non dargli retta. Così è stato per quel bel cappottone. Che se ne è rimasto tranquillo nella sua custodia, ad aspettare che tornasse il suo momento. Ho esitato un po’, prima di tirarlo fuori. Me lo sono messo e mi sono specchiata per bene. Mi sono chiesta se qualcuno avrebbe visto che era un cappotto di vent’anni prima. E poi mi sono detta ma che ragionamento cretino, tu che ami il vintage e le cose ereditate, se avessi trovato questo cappotto in un negozietto vintage o su una bancarella l’avresti comprato subito. Pensa che fortuna che ce l’avevi in casa, non lo devi neppure far lavare!
E l’ho portato parecchio. Con le gonne, sentendo il suo frusciare caldo contro le gambe, gioendo del suo modo avvolgente. Davvero un cappotto è come un abbraccio, no?

Ma torniamo allo stile.
Sono in pace con se stesse, le persone che hanno uno stile.
Hanno accettato il loro corpo, con i suoi pregi e i suoi difetti. Hanno accettato il loro carattere, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Cosa che si può fare solo con il tempo, e quindi con l’età.

E soprattutto, sono libere, le persone che hanno uno stile.
Sanno che il loro stile non piacerà a tutti. Pazienza. Intanto piace a loro. Vi sembra poco?
Un po’ di tempo da ho postato sul mio blog una foto di me con un vestito meraviglioso che ho ereditato dalla mia amica Patrizia, e siccome è un vestito di velluto operato con un corpino arricciato e la gonna lunga fino quasi ai piedi, ed è viola e rosa e turchese, ci ho messo un golfino nero corto e delle calze nere spesse e un paio di stivaletti neri e bassi. La sera sarei andata a teatro e lo ritenevo un outfit perfetto per l’occasione: il teatro era un’anteprima a inviti a cui sicuramente la maggior parte degli invitati arrivava direttamente dal lavoro. Qualcuno ha commentato che quelle scarpe assolutamente no, non erano da teatro. E io rispetto la sua opinione e non dico che bisogna mettersi gli stivaletti bassi e sportivi per andare a teatro, o che bisogna per forza “sdrammatizzare” i vestiti eleganti e ricchi con le scarpe da ginnastica.
Ma a me piace così. Sicuramente mi piaceva così quella sera. Domani che ne so?

E questo è l’altro aspetto bello dello stile, che cambia in continuazione. Come cambiamo noi.

ps: questo pezzo è stato scritto un po’ di tempo fa, il cappottone grigio ha tirato gli ultimi ed è stato archiviato. Le espadrilles le uso ancora

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