Nel romanzo La Storia di Elsa Morante, scritto cinquant’anni fa e ambientato durante la seconda guerra mondiale e subito dopo, i vestiti non sono particolarmente importanti. Vengono descritti solo perché aiutano a immaginare i personaggi, a dargli corpo, a collocarli nel tempo e nello spazio. E con alcune parole che sono scomparse.
Per esempio a un certo punto Useppe, il piccolo protagonista del libro, esce incontro al fratello con un “paltoncino”.
Io avevo il paltoncino, da bambina. E ce lo avevamo tutti, noi bambini. Il paltoncino di autunno e un po’ di primavera. Deformazione da paletot, il nome francese del cappotto, diventato paltò in italiano e paltoncino per i bambini. Scomparso, anche logicamente, visto che un piumino è sicuramente più pratico e più caldo.
Resiste invece lo spolverino, in un eccesso di nomi inglesi e americani. Forse perché è un bel nome (lo era anche paltò, secondo me, ma forse è nostalgia) e forse perché, con il ritorno delle mezze stagioni che spesso sostituiscono quelle intere, è piuttosto utile.
Io ho una passione per gli spolverini, che mi piace chiamare anche soprabiti. Trovo che vestano come poche altre cose. Soprattutto all’inizio o alla fine dell’estate, si può mettere una semplice T-shirt e un paio di pantaloni o una gonna, e con sopra un soprabito o uno spolverino si è chic senza alcuna fatica. Può anche valere la pena sceglierlo di buona qualità, spendendoci magari un po’, perché è un oggetto che dura, meno soggetto alla moda di altri capi.
Quello che ho indosso in questa foto per esempio è di Antonio Fusco, l’ho comprato 6 o 7 anni fa, e ci sono state estati in cui l’ho usato meno, ma mi piace sempre. Che ne dite? Siete anche voi delle fan degli spolverini?
Se volete scrivermi, ciabattinasx@gmail.com
Buona giornata intanto!
Anna da Re
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