#iorestoacasa giorno 47. Contro le discriminazioni

Ve lo confesso subito e con grande franchezza: di parlare apertamente e qui di discriminazioni non mi sarebbe venuto in mente se stamattina non avessi visto, tra le notizie, quella di “chiudere in casa i sessantenni”.

La notizia mi ha colpito in prima persona. E si sa che niente ti fa capire le cose come l’esserne toccato personalmente.

E mi sono detta ma che cosa mi disturba, oltre al fatto in sè, che certo non è poco, di questa vicenda. Certo c’è un problema di linguaggio, o se volete di comunicazione, una rozzezza nella scelta e nell’uso delle parole che insomma è notevole. Ma il vero disturbo è la discriminazione.

Io faccio parte di una generazione che ha cercato di lottare contro la discriminazione e che cerca di farlo tuttora. Perchè la discriminazione è sempre arbitraria. E quindi sempre ingiusta. Poi per carità, questa è una discriminazione minore e non voglio certo farne una tragedia.

Ma è da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus, e ad essere sinceri anche da prima, che la discriminazione la fa da padrone. Mi sono ricordata il pezzo di un sermone antinazista, Martin Niemöller:

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare.”

E la caccia all’untore, le foto con le folle di italiani che scappavano al sud (sono stati pubblicati dei dati, by the way, che smentiscono molto chiaramente quel che si scriveva in merito), gli insulti a chi è fuori casa (rigorosamente senza sapere perché lo sia), e molto altro su cui stendo un velo pietoso (molto, molto pietoso) hanno tutti alla base la discriminazione. E fintanto che i discrimati sono gli altri, sopratutto se privi di una voce, di una rappresentanza, di un benchè minimo diritto all’esistenza, ci possiamo tappare il naso e andare avanti. Poi quando tocca a noi ci rendiamo conto di che cosa è davvero, la discriminazione. E quando ci tocca capiamo anche che non c’è mai un motivo sensato, che non si discrimina mai per una ragione, ma solo per esercitare il potere, per fare paura, per colmare il vuoto della mancanza di competenze, di capacità, di di studio, di idee, di coraggio.

Quindi partiamo sempre da noi, dall’osservarci, da quello che sentiamo. Da quello possiamo imparare molto, possiamo capire davvero. E poi decidere che cosa fare. Che anche nel nostro piccolo, nel nostro quotidiano, c’è sempre qualcosa che possiamo fare.

Buona giornata!

Anna da Re

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