Il Booker Prize secondo me è uno dei premi più interessanti del mondo letterario. Ne escono quasi sempre dei grandi libri, spesso grandi autori, e già le short list andrebbero comprate e lette tutte (ci vorrebbero una decina di vite, e quindi si fa quel che si può). L’anno scorso ha vinto Shuggie Bain di Douglas Stuart, autore scozzese esordiente che poi è stato tradotto e pubblicato in Italia dall’editore per cui lavoro.
E quindi, essendo la donna fortunata che voi sapete so di essere, ho avuto modo di assistere a un incontro online tra alcuni blogger e Douglas Stuart. Non è certo la prima volta e mi auguro non sia neppure l’ultima, che in questo modo ascolto dei grandi autori parlare dei loro libri, della letteratura, della lettura, della scrittura. Sono sempre interessanti, qualche volta di più. E questa è stata una di quelle volte.
Storia di Shuggie Bain è un bellissimo libro. Proprio bellissimo. Di quelli che non solo è bello quando li leggi, ma che ti restano dentro con tanto calore e intensità. Ambientato nella Glasgow desolata e distrutta negli anni della Thatcher, gli anni della chiusura dei cantieri navali e delle miniere, gli anni della finanza e de “la società non esiste”, della disoccupazione e di una working class sempre più povera e disperata, è una storia di alcolismo, abusi, fame, fatica, dignità e compassione.
Ascoltare ieri sera Douglas Stuart dalla sua bella casa di New York, con alle spalle degli scaffali pieni di libri, con un residuo di accento “glasweegian” e una lucidità perfetta, mentre raccontava che la Glasgow del libro è quella in cui lui è cresciuto, la working class che racconta è quella della sua famiglia, la mancanza di opportunità e prospettive è stata la sua. Lui è riuscito a tirarsi fuori grazie alla moda, in cui ha lavorato con successo e grazie a cui è arrivato a New York. Per scrivere il libro ci ha messo 10 anni, da autodidatta, guidato solo dal bisogno di raccontare non solo la storia di Agnes e Shuggie, ma soprattutto un mondo sempre troppo poco rappresentato e troppo poco considerato.
Douglas Stuart non è un rivoluzionario, non è arrabbiato, non è un sognatore. Conosce la società in cui è cresciuto e lo scandalo di lasciare fuori, quando non addirittura di lasciar fare la fame, a un quarto della sua popolazione. La società che è la quinta potenza industriale al mondo. Del resto sappiamo che non è solo la Gran Bretagna a vantare una drammatica disparità di reddito e possibilità di vita tra i pochissimi che hanno fin troppo e i molti che non hanno abbastanza.
Ma quello che risuona forte dalla voce di Douglas Stuart è la compassione, la partecipazione, la vicinanza ai protagonisti del mondo che denuncia. I suoi personaggi sono raccontati senza un giudizio, con affetto, con comprensione. Ha detto lui stesso che mentre se li immaginava, era attento ad essergli o di fianco o alle spalle, mai di fronte o di sopra. E secondo me è questo modo, questa attitudine così autentica che fa sì che una storia dolorosa e drammatica, in un contesto tetro e disperato, non lasci alla fine amarezza e tristezza. Se anche piangiamo o soffriamo con Shuggie e Agnes e gli altri, poi alla fine il senso che prevale è l’umanità, la preziosità di ogni essere umano, la dignità che si può conservare in qualunque circostanza.
Uff, ho fatto fatica a scrivere questo post. Ma leggete Storia di Shuggie Bain, capirete meglio e sono sicura che mi ringrazierete.
Buona giornata
Anna da Re
grazie, sono sempre diffidente con le nuove uscite, ma questa la segno
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