Visto che al di là dei desideri, delle fantasie e delle velleità il mio smart working si svolge sempre dallo studio di casa, ho deciso che non ne potevo più del portatile. Poverino, il mio MacAir è bellissimo e mi è fedele da 8 anni, e non ce l’ho di certo con lui. Ma mi connetto a un computer dell’ufficio che ha un bello schermone da 21 pollici, e l’effetto riduzione è terribili. Tutto diventa microscopico, ai limiti dell’illeggibile. Mi sa che ve lo ho pure già detto.
E quindi ho fatto il salto e ho comprato un iMac.
Alla faccia del nomadismo digitale, e di quei profili Instagram dove sembra che se non ti muovi tra Bali e il Brasile non sei nessuno. Che se ci sono delle certezze nella pandemia sono lo stare a casa, il viaggiare poco e vicino, e un ridimensionamento del mondo che ha un suo senso. Non fraintendetemi, mi piace viaggiare, mi piace stare in giro, mi piace conoscere e imparare. Ma trovo che quel collezionismo di luoghi fatto più per dire che ci si era stati che per vero interesse, o quel non poter concepire una vacanza senza fare migliaia di miglia e ore di volo, quello trovo che fosse diventato un po’ too much. Che avesse perso il valore originario del viaggio, dell’esperienza del viaggio.

21 pollici è una misura enorme. È uno schermo su cui finalmente vedo bene, potrei quasi ridurre le diottrie degli occhiali. E i Mac sono belli. Sono grosso modo sempre gli stessi da anni, perché quando qualcosa è fatto bene e funziona ed è bello non c’è bisogno di modificarlo e di comunicare che è “nuovo” ogni sei mesi. Certo ingombra la scrivania, e c’è bisogno di una tastiera e di un mouse e pure di un mouse pad, ma sono qui per lavorare.
Ecco, direi che per oggi è tutto.
Buon pomeriggio!
Anna da Re
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