Si sa che uno degli effetti diretti, e anche collaterali, dell’imparare è il rendersi conto che per quanto alacremente e costantemente si studi, quello che non si sa resterà per sempre infinitamente superiore a quello che si sa o si impara.
Lo sappiamo tutti ma ce lo dimentichiamo, alle volte illudendoci di essere colti, competenti, preparati. E un pochino lo siamo, per carità, ma non abbastanza. E niente dimostra questo fatto come i corsi che le aziende ogni tanto ci fanno fare. Generalmente questi corsi sono accolti con il naso storto, fanno perdere tempo, tanto ci dicono cose che sappiamo già, eccetera eccetera. Io li accolgo sempre con piacere, invece, anche se pure per me le 4 ore che dedico al corso non le dedico al lavoro e dopo le devo tirare fuori da qualche parte.
E oggi ho cominciato un corso sulla comunicazione digitale. Che appunto uno dice, è il tuo mestiere, potrai doverti un po’ aggiornare ma qualcosa saprai. E infatti non è che sono arrivata lì come alla prima lezione di sociologia che la Scuola di Francoforte non l’avevo mai sentita dire. Però vi posso assicurare che già dopo i primi 10 minuti erano state dette delle cose che non sapevo. Delle cose, al plurale. E poi è continuato più o meno così per 4 ore, con delle cose che sapevo e tantissime che non sapevo. Che non sapevo così tanto che non mi rendevo neanche conto che può essere utile saperle.
Ed è bello, per certi versi. Però è anche come se uno dovesse vivere sempre, ma proprio sempre giorno e notte, nel traffico dei giorni di punta, diciamo quelli prima di Natale. Dopo qualche ora dici ma io vado all’Oasi a zappare la terra, che è veramente faticoso ma è fisico, tangibile, mutevole ma con il ritmo delle stagioni, non quello frenetico della tecnologia digitale.
Ecco questo è oggi. Del resto dall’orario del post vi eravate immaginati che stessi facendo qualcosa che non potevo interrompere.
Buona serata a questo punto!
Anna da Re
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