Stamattina Facebook mi ha fatto vedere un ricordo, che lì per lì non ho neanche riconosciuto. Perché ero vestita con una maglietta a righe e dei pantaloni khaki, e quanti milioni di volte mi sono vestita così? Però lo sfondo era diverso. Lo sfondo era neutro, anonimo. E sì, a un certo punto mi sono resa conto che ero in un albergo di Torino. Solo due anni fa.
Maggio era il mese del Salone del Libro. Ci si preparava organizzando interviste, incontri e innumerevoli caffè. Poi tutto andava in un modo diverso, gli orari non coincidevano, la gente si perdeva, ritardava, qualcosa saltava e qualcosa si rimediava all’ultimo minuto. C’erano dei lunghi corridoi dove capitava di incontrarsi. C’era la lounge della sala stampa dove andare a riposarsi e bere il caffè. C’erano le cene, tardissimo, stanchissimi. C’erano le pause in cui si andava agli stand degli amici, o a comprare dei libri.
Era un rituale, oltre che un lavoro. Si finiva sempre per incontrarsi, con quelli che si conoscevano, con quelli con cui si lavora a distanza, per telefono, per email. Era un punto fermo, da una certa data in poi ci si diceva ci vediamo a Torino, e per un po’ dopo si diceva come ci siamo detti quando ci siamo visti a Torino. Era una grande vetrina, una grande libreria dove trovavi le cose più ovvie e quelle più improbabili. Era rumoroso, caotico, esagerato.
Probabilmente alle volte, più volte, ci siamo detti che ne avremmo fatto volentieri a meno. Avremo anche detto che era inutile, uno spreco di tempo e di energie. Poi l’anno scorso ne abbiamo fatto a meno davvero. Però eravamo ancora in lockdown, eravamo ancora frastornati per questa calamità che ci era capitata fra capo e collo. Quelli del Salone hanno fatto una serie di cose online, certo, che altro potevano fare.
Quest’anno invece sentiamo che ci manca. Sappiamo benissimo che non ci sarebbe potuto essere, se c’è un luogo di assembramenti quello è il Salone del Libro. Le sostituzioni online ci hanno parecchio stancato, ormai online guardiamo solo quello che ci interessa davvero, che guarderemmo anche se fosse in turco con i sottotitoli in latino. E soprattutto nessuno potrà sostituire quei caffè sugli sgabelli della lounge, quelle soste ah finalmente quando si vede una poltrona libera, quegli incontri fortuiti oppure no, insomma quel pezzetto di vita tutto umano fatto di sorrisi, di parole, di scambi, di arricchimento.
Abbiamo capito, con questa pandemia, che ci sono cose insostituibili, che bisogna solo aspettare di poter fare ancora.
Aspetteremo.
Intanto buona giornata
Anna da Re
Rispondi